La mia intervista a pagina 2 e 3 di Metropolis Quotidiano.
La mia intervista a pagina 2 e 3 di Metropolis Quotidiano del 28 Aprile 2019
LA POLITICA: UNA VIRTU’ NON UNA COLPA
Alla vigilia di questa competizione elettorale per le Europee e le amministrative, quale messaggio si sente di lanciare ai candidati?
«Ho fatto il sindaco per 10 anni nella mia città e so quanto sia difficile e complesso amministrare i territori, ma chi si candida oggi, più di prima, merita rispetto, al di là di ogni posizione politica, perché si mette al servizio della collettività e perché fa una scelta di coraggio in un particolare momento della storia e della politica, che ormai viene considerata una macchia indelebile. Il riconoscimento agli aspiranti sindaci e consiglieri ovviamente non include chi si candida col fine di perseguire interessi personali, categoria che escluderei da ogni tipo di considerazione».
Ritiene che quest'ultimo sia un rischio elevato?
«Non posso non dirmi preoccupato del fatto che si continua a scartare l’idea di essere candidati in un partito politico, favorendo il civismo. Questo purtroppo è uno degli effetti dell’antipolitica che continua a demonizzare i partiti che, invece, sono quei luoghi dove naturalmente dovrebbero concentrarsi le valutazioni dei bisogni della gente e delle condizioni dei territori per poi, con la posizione ideologica di appartenenza, approcciare ad una soluzione di centro destra o di centro sinistra che necessariamente deve avvalersi di una buona analisi preventiva».
Questo è un limite che viene in parte superato nella competizione europea grazie al sistema elettorale, non crede?
«Sì. Avendo sentito un po’ tutti i referenti di partito posso dire di conoscere abbastanza bene la missione della Lega, del Pd, di Fratelli d’Italia, di Forza Italia, del M5s e mi auguro, anche da quello che sto leggendo, che tutti abbiano ripiegato sulla necessità di contribuire da protagonisti in Europa modificandone la missione. Io credo che considerare l’Ue una realtà statica e non dinamica o addirittura rigida sia controproducente. Siamo fondatori di un’Europa che pur mantenendo inalterata l’identità di ogni singolo Stato membro deve essere capace di politiche comunitarie che sappiano interpretare le diverse esigenze. L’approccio legato al rispetto di norme e vincoli è quanto mai giusto ma occorre una semplificazione dell’iter burocratico che consenta agli Stati membri di accedere ed aprirsi a prospettive di sviluppo che l’Ue già prevede per poter lanciare la sfida oltre l’ostacolo».
Ritiene che quello del sistema elettorale sia un limite superabile?
«Sì, bisognerebbe uniformarli, per quanto possibile, per tutte le competizioni elettorali. I cittadini vengono spesso confusi, se non ingannati, dal fatto di votare per un tipo di elezione senza preferenze, con due per un’altra e con tre per un’altra ancora».
Venendo ai temi concreti, su cosa bisognerebbe puntare a suo avviso per far uscire l'Italia dal guado in cui sembra sempre più impantanata?
«Lo sviluppo a mio avviso è complementare alla cultura e viceversa. Investire sulla cultura è fondamentale ma la natura dell’investimento non deve e non può essere di tipo tradizionale, occorre lavorare all’idea di un Paese che fa diventare la cultura una ricchezza e che coinvolge l’individuo, la società civile, la scuola, le imprese. Bisogna invogliare alla lettura, alla conoscenza, allo studio».
Che appello si sente di rivolgere agli elettori?
«Partendo dall’esigenza di valorizzare i territori, che rappresentano la nostra più preziosa risorsa, si consolida la necessità che gli elettori scelgano gli amministratori locali per la loro vocazione, per l’esperienza, per l’attitudine a conoscere e riconoscere le potenzialità e le fragilità dei territori che sono chiamati ad amministrare. Scegliamo quindi le nuove compagini amministrative in funzione della loro capacità di costruire opportunità diverse, a misura di territorio, concentrandosi su programmazioni di sviluppo consapevoli e di merito. Non è solo l’ideologia ad unire le persone e a fare grandi i luoghi, ma la lettura dei territori».
E alle forze politiche che cosa chiederebbe invece?
«Le coalizioni di governo delle istituzioni pubbliche quali Stato, Regioni, Comuni, devono precostituire un luogo politico dove programmare l'azione amministrativa, non possono pensare di farlo nelle aule. In sostanza, i partiti che si alleano devono creare soggetti riconosciuti (al pari di una ATI per le imprese) capaci di formulare proposte condivise e soluzioni concrete. Questi, come un buon padre di famiglia, lontano dalle competizioni elettorali, devono lavorare per il bene delle persone al di là del consenso. Un buon genitore bacia i figli quando dormono…». Leggi su Facebook
«Ho fatto il sindaco per 10 anni nella mia città e so quanto sia difficile e complesso amministrare i territori, ma chi si candida oggi, più di prima, merita rispetto, al di là di ogni posizione politica, perché si mette al servizio della collettività e perché fa una scelta di coraggio in un particolare momento della storia e della politica, che ormai viene considerata una macchia indelebile. Il riconoscimento agli aspiranti sindaci e consiglieri ovviamente non include chi si candida col fine di perseguire interessi personali, categoria che escluderei da ogni tipo di considerazione».
Ritiene che quest'ultimo sia un rischio elevato?
«Non posso non dirmi preoccupato del fatto che si continua a scartare l’idea di essere candidati in un partito politico, favorendo il civismo. Questo purtroppo è uno degli effetti dell’antipolitica che continua a demonizzare i partiti che, invece, sono quei luoghi dove naturalmente dovrebbero concentrarsi le valutazioni dei bisogni della gente e delle condizioni dei territori per poi, con la posizione ideologica di appartenenza, approcciare ad una soluzione di centro destra o di centro sinistra che necessariamente deve avvalersi di una buona analisi preventiva».
Questo è un limite che viene in parte superato nella competizione europea grazie al sistema elettorale, non crede?
«Sì. Avendo sentito un po’ tutti i referenti di partito posso dire di conoscere abbastanza bene la missione della Lega, del Pd, di Fratelli d’Italia, di Forza Italia, del M5s e mi auguro, anche da quello che sto leggendo, che tutti abbiano ripiegato sulla necessità di contribuire da protagonisti in Europa modificandone la missione. Io credo che considerare l’Ue una realtà statica e non dinamica o addirittura rigida sia controproducente. Siamo fondatori di un’Europa che pur mantenendo inalterata l’identità di ogni singolo Stato membro deve essere capace di politiche comunitarie che sappiano interpretare le diverse esigenze. L’approccio legato al rispetto di norme e vincoli è quanto mai giusto ma occorre una semplificazione dell’iter burocratico che consenta agli Stati membri di accedere ed aprirsi a prospettive di sviluppo che l’Ue già prevede per poter lanciare la sfida oltre l’ostacolo».
Ritiene che quello del sistema elettorale sia un limite superabile?
«Sì, bisognerebbe uniformarli, per quanto possibile, per tutte le competizioni elettorali. I cittadini vengono spesso confusi, se non ingannati, dal fatto di votare per un tipo di elezione senza preferenze, con due per un’altra e con tre per un’altra ancora».
Venendo ai temi concreti, su cosa bisognerebbe puntare a suo avviso per far uscire l'Italia dal guado in cui sembra sempre più impantanata?
«Lo sviluppo a mio avviso è complementare alla cultura e viceversa. Investire sulla cultura è fondamentale ma la natura dell’investimento non deve e non può essere di tipo tradizionale, occorre lavorare all’idea di un Paese che fa diventare la cultura una ricchezza e che coinvolge l’individuo, la società civile, la scuola, le imprese. Bisogna invogliare alla lettura, alla conoscenza, allo studio».
Che appello si sente di rivolgere agli elettori?
«Partendo dall’esigenza di valorizzare i territori, che rappresentano la nostra più preziosa risorsa, si consolida la necessità che gli elettori scelgano gli amministratori locali per la loro vocazione, per l’esperienza, per l’attitudine a conoscere e riconoscere le potenzialità e le fragilità dei territori che sono chiamati ad amministrare. Scegliamo quindi le nuove compagini amministrative in funzione della loro capacità di costruire opportunità diverse, a misura di territorio, concentrandosi su programmazioni di sviluppo consapevoli e di merito. Non è solo l’ideologia ad unire le persone e a fare grandi i luoghi, ma la lettura dei territori».
E alle forze politiche che cosa chiederebbe invece?
«Le coalizioni di governo delle istituzioni pubbliche quali Stato, Regioni, Comuni, devono precostituire un luogo politico dove programmare l'azione amministrativa, non possono pensare di farlo nelle aule. In sostanza, i partiti che si alleano devono creare soggetti riconosciuti (al pari di una ATI per le imprese) capaci di formulare proposte condivise e soluzioni concrete. Questi, come un buon padre di famiglia, lontano dalle competizioni elettorali, devono lavorare per il bene delle persone al di là del consenso. Un buon genitore bacia i figli quando dormono…». Leggi su Facebook